Ho imparato che il telefono senza social è, sostanzialmente, un sasso. Ma andiamo con calma.
Non è certo un caso se Reels di Instagram o TikTok ci suggeriscano proprio quello che ci piace o ci interessa. Com'è noto, è merito dei sofisticati algoritmi che ne sono alla base. E che, di fatto, garantiscono il successo di tutti i social media.
Ma non solo: gli algoritmi sono anche la ragione per cui i social possono dare dipendenza o, in gergo, per cui sono addictive by design. Quindi, tra le varie caratteristiche, progettati per essere usati potenzialmente senza limiti, fornendo comunque sempre nuovi stimoli.
Quello che appare chiaro è che per gli algoritmi possa valere un discorso simile a quello dei bassissimi ponti di Long Island di cui ho parlato in Artifacts n.0: il modo in cui funzionano può dare forma alla nostra vita, determinando cosa vediamo sui social, come e con chi interagiamo e, anche, il perché arriviamo a passare diverse ore, tutti i giorni, sulle piattaforme.
E se gli algoritmi plasmano noi come singoli, è possibile sostenere che abbiano un impatto anche sulla società in senso lato.
Di questo se n'è resa conto l'Unione Europea, che con il Digital Services Act (DSA) stabilisce il criterio di trasparenza degli algoritmi. In sostanza, che le piattaforme, come Instagram o TikTok, debbano dichiarare secondo quali parametri gli algoritmi propongono i contenuti agli utenti.
È affascinante e innovativo che un’istituzione politica voglia indagare come funzionino gli algoritmi dei social media. La finalità primaria è capire perché vengano mostrati determinati contenuti - ed eventualmente fermare la diffusione di quelli pericolosi - ma di conseguenza anche come i social possano essere addictive by design e portarci a passare diverse ore, ogni giorno, a scrollare.
Tutto questo ci rivela, di nuovo, che ha ragione Winner: artifacts - in questo caso gli algoritmi dei social media - have politics. E l’UE l’ha capito.
Di DSA e regolamentazione ne parleremo - ampiamente - nelle prossime settimane. Oggi, invece, voglio fare un passo indietro.
Qualche settimana fa mi sono chiesto se sia possibile, per qualche giorno, impedire agli algoritmi dei social media di dare forma alle nostre interazioni, di consigliarci cosa leggere e, in generale, di influenzare la nostra vita.
Ho scoperto di sì: facendo quello che gli esperti chiamano “Digital Detox”. Si tratta, sostanzialmente, di azzerare l’utilizzo dei social media e - direi di conseguenza - del cellulare o di altri dispositivi.
In questa Artifacts vi racconto come ci ho provato, com’è andata e cosa ne penso.
È vero: è un’esperienza personale, ma penso possa avere validità generale. E, soprattutto, se hai mai fatto qualcosa di simile, scrivi nei commenti com’è andata!
Il Titolo
Disclaimer sul Digital Detox prima di essere additato di luddismo:
Non credo sia fattibile sul lungo periodo: è difficilmente immaginabile non usare i social nel 2023;
Non implica un giudizio personale negativo dei social, è solo un esperimento;
Al contrario, pur riconoscendo i possibili aspetti negativi, sono un fautore di tutti gli aspetti positivi dei social media nelle nostre vite.
Iniziamo.
Non è ovviamente un concetto inventato da me, e i vari trucchetti sono presi da diversi articoli, che trovi - tra i tanti - qui, qui e anche qui.
Poi importante precisare che il periodo che ho scelto, ossia la settimana 7-15 agosto, in vacanza, è probabilmente la settimana migliore dell’anno per essere un po’ fuori del mondo. Non che di solito riceva telefonate dal Presidente degli Stati Uniti, ma probabilmente è quella settimana dell’anno in cui quasi chiunque potrebbe permettersi di staccare dal flusso. Quasi chiunque.
Per impostare il Digital Detox, ho:
fatto una valutazione iniziale per capire cosa non funzionasse del rapporto con il cellulare e i social. Quindi - essenziale - non smettere di utilizzare in toto il telefono, ma capire quali abitudini negative si hanno. Personalmente, l’abitudine di aprire Twitter o Instagram in maniera abbastanza inconscia e il controllo costante delle notifiche.
impostato degli obiettivi: cosa si vuole ottenere. Personalmente, l’obiettivo è stato azzerare l’utilizzo di Instagram, Twitter, Facebook e LinkedIn, e limitare al minimo Whatsapp e email. Su Whatsapp ho capito tardi che, probabilmente, serve avvertire in qualche modo i contatti per evitare che denuncino la tua scomparsa. Da riflettere anche su questo.
Poi, ho adottato 5 trucchetti essenziali, che riporto qui, in ordine di importanza:
Chiedersi “cosa posso fare altrimenti?” ogni qualvolta si sia tentati di prendere il telefono;
Come scrive il NYT, get over yourself, o non prendersi troppo sul serio. Essenzialmente pensare che è difficile - nella maggior parte dei casi - che il motivo per cui si venga contattati sia così urgente o fondamentale. Insomma, che raramente ci scrivano per salvare il mondo;
Ripensare le proprie abitudini: se in viaggio, come capitato a me, chiedere ai locali dove andare a mangiare oppure scaricare le mappe offline per poter tenere il telefono in modalità aereo. Per limitare il numero di volte che prendiamo il telefono in mano;
Creare delle zone no-phone: ad esempio, 0 cellulare a tavola oppure prima di andare a dormire o la mattina appena svegli. Proprio fisicamente distante;
Cambiare l’organizzazione delle app: mettere solo quelle essenziali in home page per non essere tentato dalle altre.
Com’è andata?
Direi abbastanza bene, nel senso che:
Mai aperto Instagram, LinkedIn, Twitter o Facebook e solo una volta al giorno un quotidiano online;
Di conseguenza, 20-30 minuti di media al giorno di tempo di utilizzo del telefono. Qui ho capito che senza social il telefono è un sasso;
Non mi sono propriamente isolato perché ho usato abbastanza Whatsapp. Ma se l’obiettivo era anche “scappare” dagli algoritmi, Whatsapp non è considerabile un recommendation media, come invece Instagram o TikTok.
Ma, soprattutto, quali pensieri dopo una settimana senza algoritmi?
Dover trovare altri, nuovi stimoli è stata la cosa più sorprendente. Sia chiaro, le nostre vite hanno ovviamente altri stimoli fuori dai social media, ma non averne per niente dal proprio cellulare - lo ammetto - è stato quantomeno peculiare.
Ho capito cosa si fa se non si può usare il telefono: NIENTE. Probabilmente, spesso, il telefono riempie un vuoto, letteralmente, e non sostituisce altre attività. Ho (non) fatto moltissimo niente. Ed è una cosa che scrive anche Ian Bogost in questo super articolo che consiglio: “What did people do before smartphones?”.
Non è poi negativo non essere costantemente aggiornati: ad esempio, tra le tante notizie che ho “perso”, c’è stata la morte della giornalista Michela Murgia. Con Twitter lo avrei saputo praticamente in real time, ma invece l’ho saputo dopo due giorni chiamando un amico. E ci sta.
Chiaramente - lo ripeto - si tratta di un’esperienza radicale, limitabile a qualche giorno. Sono tornato a pieno regime a scrollare, forse con un po’ più di consapevolezza. Però la consiglierei: non per diventare dei luddisti, ma solo per provare qualcosa di straordinario, fuori dal nostro ordinario fatto e influenzato da algoritmi.
Insomma, nell’attesa che l’UE provi a capire come funzionano davvero gli algoritmi dei social media, è interessante provare cosa significhi farne a meno.
E, di nuovo, se hai mai fatto un Digital Detox, sono molto curioso di sapere com’è andata.
Rassegna (Stampa)
A proposito di Digital Detox, l’Unione Europea monitora il rapporto degli adolescenti con i social.
Sempre sugli algoritmi e i social, a breve in Europa avremo la possibilità di poter tornare ai vecchi cari feed social cronologici.
Sull’IA, Claire Lebowitz spiega perché i watermark potrebbero non bastare a riconoscere quello che è generato con IA.
E poi il New York Times che se l’è presa con ChatGPT. Ed anche il Guardian! Ne parleremo.
Ieri Google ha fatto 25 anni. Auguri!
Lo Scaffale
Jaron Lanier è tra i maggiori esperti globali sui social media e le implicazioni politiche e sociali. Ten Arguments For Deleting Your Social Media Accounts Right Now è uno dei suoi libri più celebri. È indubbiamente radicale, ma anche molto interessante. Tra le mie ragioni preferite:
Che i social ci rendono stronzi;
Che i social ci portano via un po’ di empatia;
Che i social possono renderci più tristi.
Nerding
Cosa fa? È una delle mille tasks app sul mercato. Permette di creare fino a 5 spazi (tipo “Università”, “Lavoro”, “Personale”, etc.) e poi categorie all’interno con tutte le task che uno deve fare. È anche possibile mettere deadline, priorità, filtri.
Perché la consiglio? Prima di tutto, è molto semplice e intuitiva. Accessibile da pc e smartphone, organizza le task bene e in maniera essenziale.
Però, se preferisci, puoi continuare a usare la chat da solo su Whatsapp, come a me capita di fare spesso :).
Per oggi è tutto. Grazie per essere arrivato fin qui e per la fiducia.
A martedì prossimo!
complimenti, ben scritta ed interessante
Io ho spesso fatto periodi di digital detox (da Instagram e basta perché è il social media che più mi rende schiava con il suo algoritmo), il più lungo è stato di un anno e mezzo. Poi sono stata quasi costretta a tornarci per non essere tagliata fuori in Erasmus, e ora rieccomi, a utilizzarlo tot ore al giorno. Credo che il segreto stia nel non privarsene totalmente rischiando poi ricadere nello stesso meccanismo, piuttosto di sforzarsi a farne un uso giornaliero ridotto.