Nel 2016, pochi giorni dopo la vittoria di Trump negli Stati Uniti, Meta - all’epoca ‘Facebook’ - compra Crowdtangle, un tool che svela agli utenti quanto bene o quanto male vanno i contenuti. O meglio, il loro engagement.
All’inizio era usatissimo dai giornalisti per capire cosa pubblicare. Poi, con lo scemare delle news sui social di Meta, Crowdtangle diventa indispensabile per i ricercatori che studiano come e quali narrative false, contenuti pericolosi e disinformazione circolano di più.
Era una novità importante, rivoluzionaria, per la trasparenza. Nel giro di pochi anni, però, tutta questa trasparenza fa storcere la bocca a Meta perché ne espone alcune vulnerabilità.
Un caso abbastanza eclatante è l’esperimento di Kevin Roose, giornalista del NYT, che crea la pagina Twitter @FacebooksTop10, in cui un bot, grazie a Crowdtangle, ogni giorno elencava i 10 profili dei 10 post più popolari di Facebook negli Stati Uniti. E, tra le varie cose, dimostrava che spesso i contenuti più popolari erano di esponenti del mondo repubblicano, diversamente dalla narrativa di censura propagata dai repubblicani stessi.
Dritto veloce ad oggi, Meta ha recentemente annunciato che disattiverà Crowdtangle e lo sostituirà con la Meta Content Library. Mossa che, però, sembra essere un parziale passo indietro per la trasparenza, almeno per ora. Infatti, i dati che fornisce la Library non sono in tempo reale e, soprattutto, l’accesso è limitato a ricercatori affiliati e accademici, lasciando invece fuori giornalisti o ricercatori indipendenti.
Si pensa che la Content Library migliorerà, ma molti hanno criticato che la scelta di cambiare sia arrivata a poche settimane dalle elezioni europee e americane.
Una storia simile è quella di Twitter, che ora si chiama X, e che, molto più di Facebook, ha alimentato le analisi accademiche sui flussi informativi.
Nel febbraio ‘23, pochi mesi dopo l’acquisto di Musk, viene interrotto l’accesso gratuito all’Application programming interface (API), ossia il tool gratuito per visualizzare cosa succedeva nel social del (defunto) uccellino.
Poi X annuncia che si può accedere all’API ma pagando cifre stellari, solitamente fuori dal budget dei ricercatori o, comunque, difficili da sostenere per chi prima lo faceva gratis.
E, infine, qualche mese fa, X ha ricominciato a permettere a dei ricercatori certificati di accedere nuovamente a questi dati.
Se sei un lettore attento starai pensando “Ok, ma quindi alla fine non troppo male”. Vero, ma se siamo nel regime del non troppo male, e non in quello del malissimo, non c’è che da ringraziare l’Unione Europea.
Cos’hanno in comune, infatti, le decisioni di Meta e X? Che l’accesso ai dati, in qualche modo, va necessariamente fornito perché previsto dal nuovo e scintillante Digital Services Act (DSA). E, nello specifico, dall’articolo 40.12, che parla di “Data access and scrutiny”.
Quella che è stata addirittura chiamata “Crowdtangle provision”, infatti, stabilisce che le piattaforme più grandi (le cosiddette VLOPs) garantiscano l’accesso ai dati a ricercatori certificati che analizzano i rischi più severi per gli utenti. Qua è spiegato alla perfezione come funziona la certificazione. Giurista che mi leggi, meglio semplificato ma chiaro che impossibile da capire, no?
E, ok, probabilmente è qualcosa che riguarda direttamente qualche centinaia di persone in Europa e nel mondo. Però, forse, sapere cosa succede sulle piattaforme non è solo di interesse di dottorandi, think tank o pochi eletti, specie in un anno in cui ci saranno campagne elettorali come mai prima.
Questa Artifacts, allora, racconta perché quello che fa l’articolo 40 del DSA è assolutamente rivoluzionario, ma anche cosa sta andando storto e come e perché è prioritario raddrizzarlo.
La Storia
Questa è una storia di prime volte.
Per la prima volta viene imposto, con forza di legge, che le piattaforme debbano garantire trasparenza e accesso ai dati per i ricercatori.
Di conseguenza, molte piattaforme renderanno disponibili, per la prima volta, i dati su quello che accade quotidianamente tra gli utenti. Prima del DSA, come dimostrano i casi di Meta e X, queste decisioni erano volontarie e lasciavano i ricercatori in balia degli umori e dei cambi di idea delle piattaforme. Magari nel bel mezzo di un lavoro di ricerca.
Poi, l’impatto dell’art.40 non si limita all’Unione Europea. In primis perché l’accesso può essere garantito anche a ricercatori non europei. E, poi, perché è verosimile che anche altre regolamentazioni in giro per il mondo possano prescrivere obblighi simili, beneficiando della strada inaugurata dal DSA. Chiamatelo “Brussels Effect”, se vi piace.
Sembra uno scenario incredibile, e Artifacts potrebbe chiudersi qui. Tuttavia, nonostante il DSA sia in vigore da febbraio, c’è ancora molto da fare per garantire questo data access.
Nel dettaglio, nel giro di qualche settimana, la Commissione Europea dovrebbe pubblicare un documento che (si spera) chiarisca standard e regole. Intanto, un mesetto fa, ha pubblicato un report che racconta come stanno andando le cose sull’accesso a questi dati.
Ed, ecco, potrebbero andare meglio.
Un’iniziativa del Weizenbaum Institut rivela come su 22 richieste di accesso ai dati, solo 4 siano state accettate. E un report sempre dello stesso istituto sottolinea anche le varie criticità rispetto a come, quali, quando, e perché i dati sono forniti. Il problema essenziale? Manca armonizzazione tra le piattaforme.
Ad esempio, spesso è difficile (senza un apparente motivo) accedere alle pagine in cui fare richiesta per i dati, sembra che i ricercatori non affiliati ad istituzioni accademiche non siano granché graditi, il tempo di risposta medio è superiore al mese e mezzo - e dovrebbe invece essere rapido secondo il DSA -, i rifiuti di accesso non sarebbero motivati adeguatamente e, da ultimo, alcue grandi piattaforme non comunicherebbero i dati ai quali si può avere accesso.
Queste criticità sarebbero, tra l’altro, quelle che hanno spinto la Commissione a inviare una “request for information” a ben 17 grandi piattaforme a gennaio.
Però forse è anche normale che ci sia qualche intoppo. Non serve disperare, ma capire come si possa migliorare. Su questo un eccellente lavoro lo hanno fatto la Mozilla Foundation e AlgorithmWatch, due realtà che tirano fuori sempre belle cose.
Stavolta chiedono che il documento che pubblicherà la Commissione chiarisca che l’accesso venga garantito alle organizzazioni e non ai singoli progetti, che si possa controllare che le piattaforme facciano davvero quello che dicono, che i dati forniti siano completi e senza lacune. Poi, cruciale, che si renda facile ai ricercatori non UE di accedere a questi dati, oltre che ai giornalisti che non hanno affiliazioni con i centri di ricerca.
E, come ha suggerito Brandon Silverman, fondatore di CrowdTangle a Casey Newton, quando si tratta di dare accesso ai dati bisogna dare importanza all’effettiva utilità e usabilità, e non semplicemente alla quantità che ne viene fornità. Insomma, qualità > quantità.
Dunque, l’UE con il DSA apre ad una grande opportunità per innovare e migliorare la ricerca sulle piattaforme, chiarire il loro impatto e, da ultimo, poterle giudicare e valutare con maggior contezza. Opporunità che, però, è ancora da cogliere a pieno.
Per questo, il documento che pubblicherà la Commissione sarà cruciale, così come la maniera in cui le piattaforme risponderanno, si adatteranno, e vorranno effettivamente dare seguito alle richieste di trasparenza. A tal proposito, azzardo che avere degli standard sarà decisivo: ad esempio su come richiedere i dati, su come vengono forniti, sui soggetti a cui vengono concessi.
Ed ancora, non si tratta di un capriccio dei ricercatori, ma di una necessità che dovremmo avere come società onlife tutta. Ossia poter capire le dinamiche degli spazi online in cui “viviamo” quotidianamente e dove svolgiamo - o almeno supportiamo - buona parte delle attività politiche o civili.
Meglio, che quelli che abbiamo scelto come public spaces non possano esserci oscuri o difficili da comprendere, ma che è forse addirittura prioritario avere la possibilità di vedere bene cosa succede e, in fondo, capire come impattano sulle nostre vite. Dai contenuti pericolosi fino alla disinformazione.
Specialmente quest’anno, il 2024, nel quale tra un mese si vota per il Parlamento europeo, a novembre per il presidente degli Stati Uniti, e poi anche in diversi altri paesi in giro per il mondo
Rassegna (Stampa)
Di tutto quello che sta succedendo negli Stati Uniti su TikTok, penso che questo sia tra i contenuti migliori:
Perplexity, di cui avevo parlato qua e che continuo a usare, ha tirato su un bel po’ di grana. Esattamente quanto ha alla fine stanziato il governo italiano sull’IA, tra l’altro. Mentre Meta e i suoi compari fanno numeri folli nel Q1 2024.
L’UE dice che deve essere più facile riparare il proprio cellulare, che andare dal medico in tutta Europa pure grazie alla tecnologia, e poi ha iniziato ad investigare Meta perché (forse) non starebbe rispettando il DSA.
Negli Stati Uniti tra poco si chiude un processo storico su Google, che sostanzialmente sarebbe troppo grande.
OpenAI alla riscossa: accordo con StackOverflow e accordo col FinancialTimes per allenare il suo chatbot (!). Ma nel frattempo noyb, quelli del “pay or okay”, hanno qualcosa da ridire su tutti gli errori di ChatGPT.
In India Whatsapp sta diventando sempre più un’arma di disinformazione, dice Mozilla.
News personale: Il 13 giugno parlerò al We Make Future di Bologna provando a raccontare cosa significa fare una newsletter insieme ad altri super newsletterati.
Ho degli accrediti per seguire tutto l’evento. Se ti interessano, rispondi a questa mail :)
Lo Scaffale
Non è né su disinformazione né sui social nello specifico, ma “Good Data” di Sam Gilbert è un bel libro sul concetto generale dei dati, in una chiave ottimista. Ne spiega dinamiche essenziali, chiarisce da dove vengono e dove vanno, e anche perché è fondamentale capire tutte questi concetti.
📚 Tutti, ma proprio tutti, i libri consigliati in Artifacts sono raccolti qui
Nerding
A proposito di social, OpusClip fa una roba fighissima: gli dai un video YouTube e lui te lo trasforma in piccole clip per Instagram o TikTok con l’Intelligenza Artificiale. Non è gratis, ma se dai il creator forse è utilissimo
Pausa Caffè? ☕
Oggi è il mio ultimo giorno di lavoro della settimana (in Francia a maggio è sempre festa), quindi ho tantissimo tempo per incontrarci!
Se anche a te interessa Artifacts, i temi che affronta o sei solo curiosa/o…