Ma prima quando?
E come dovremmo provare a capire delle regole che a volte sembrano inutili o pericolose
Domenica sera, mentre pensavo a cosa scrivere nella Artifacts che stai leggendo, ho ricevuto questo messaggio dal mio amico Federico:
E così ho deciso di cosa scrivere.
Cronache a parte, il buon Federico chiede qualcosa che probabilmente hai sperimentato anche tu nelle ultime settimane, che è questo:
Vale a dire che se cerchiamo su Google Search la mappa di una qualsiasi città, quella che esce non è più cliccabile e non ci indirizza più direttamente a Google Maps.
Altri problemi per Google dopo l’IA della settimana scorsa? No, affatto.
Piuttosto, è una delle misure che Google, così come altre grandi aziende tech (cosiddetti gatekeeper), hanno dovuto prendere per rispettare il Digital Markets Act (DMA), il nuovo regolamento UE per la concorrenza del mercato digitale. Sì, di DMA ne abbiamo già parlato qui in Artifacts.
Tra le tante cose, il DMA vieta il “self-preferencing”, ossia la possibilità di dare una posizione di favore a dei propri servizi o prodotti. Tipo quello che succedeva prima quando spuntava la mappetta Google Maps o Amazon che consigliava le sue pile prima di tutte le altre.
L’idea alla base è che così questi gatekeeper, che sono già belli grossi, non possano crescere sfruttando queste pratiche subdole.
Tuttavia, la reazione di molti è stata come quella dell’emoji di Federico: 😣
E quindi o di confusione se non si conosce il DMA, circostanza direi più che legittima. Oppure di dubbio, anche questo legittimo, su come una misura del genere crei più un fastidio ai consumatori che favorire la concorrenza. Su Avvenire un articolo anonimo sul tema finisce con questa domanda: “Ma era questa la rivoluzione, in termini di user experience, che volevamo?”
Oltre che dagli utenti, alcune critiche alle misure del DMA, come il divieto di self-preferencing o altre, sono arrivate anche dai diretti interessati, ossia le aziende tech.
Google, visto che parliamo di Maps, ha scritto che “alcune delle nuove regole coinvolgono dei trade-off che impattano come le persone e i business utilizzano i nostri prodotti”. E ha poi aggiunto che “alcune funzionalità che avevamo implementato per fare le cose velocemente e in sicurezza ora non funzioneranno come prima”.
Anche Apple non era stata generosa e quando aveva presentato i cambiamenti al suo sistema operativo per gli iPhone aveva precisato che stava inserendo delle protezioni per “ridurre i rischi di privacy e sicurezza che il DMA introduce per gli utenti”.
E ci sta, è un po’ il gioco delle parti ma anche la realtà che il DMA non è certo il migliore amico di queste società.
Su queste regole, è vero, c’è il rischio di essere un po’ disorientati, a proposito di mappe.
Comunque, facciamo zoom-out dalla domanda di Federico. E proviamo a capire meglio il senso di regole simili, del DMA stesso, e anche a viaggiare un po’ nel tempo.
Insomma, oggi Artifacts prova a vedere perché il DMA non è il classico regolamento astratto dei burocrati di Bruxelles 👻, e, anzi, dove nasce e come approcciare quelle che a volte sembrano delle regole inutili.
La Storia
Una prima cosa, sempre utile da dire, è che il DMA non è CONTRO le BigTech, ma è un regolamento che mira a dare più diritti. Sia ai consumatori, per i quali dovrebbe aumentare la possibilità di scelta, che a nuove aziende o start-up, per le quali dovrebbero abbassarsi le barriere all’ingresso del mercato digitale.
L’idea è che se il mercato diventa più competitivo, allora ci può essere più diversità di servizi e, quindi, innovazione.
Soprattutto, per ricopiare le parole dei burocrati di Bruxelles, due sono i principi essenziali del DMA, riflessi nelle sue regole:
contestability, ossia che per nuovi o esistenti servizi sia più facile “sfidare” i gatekeeper;
fairness, e quindi che tutti abbiano delle buone chance di avere successo, senza essere ostacolati da pratiche “scorrette”.
Questo tutto interessante e affascinante. Ma c’è un altro elemento che credo sia ancora più importante: il DMA è un regolamento ex-ante.
E che significano queste due paroline latine? Che non “rincorre” delle pratiche scorrette, ma stabilisce a priori una serie di principi del mercato digitale che i gatekeeper devono rispettare. Insomma, non investiga cosa sta andando storto, come è spesso il caso degli Antitrust, ma chiarisce quali siano dei modi perché le cose vadano nella giusta direzione.
Diciamo che è la versione competition policy del classico “prevenire è meglio che curare”.
Tutto più o meno chiaro. Ma la critica dietro l’angolo è: “Ok, ma siamo sicuri che queste regole ci portino nella giusta direzione? Nel caso di Maps, non era meglio prima?”.
Comprensibilissimo. Ma è proprio su questo prima che credo sia utile concentrarsi. Anzi, in generale, per provare a spiegare il senso del DMA è utile fare riferimento alle categorie di passato, presente, e futuro.
Il prima a cui noi facciamo riferimento, infatti, è quello pre 7 marzo, quando la mappa che usciva su Google Search era quella di Maps, direttamente cliccabile e che era tendenzialmente l’unica soluzione che usavamo.
Ecco, il DMA aspira ad un altro prima. L’idea infatti sarebbe quella di un’Internet senza oligopoli. Un’Internet in cui Mappe ≠ Google Maps o browser iPhone ≠ Safari.
Lo so, potrebbe suonare un po’ idealistico. Ma la volontà è quella di riequilibrare il mercato, consapevoli che se queste regole ci fossero state dall’inizio non ci sarebbero solo questi giganti e avere diverse alternative sarebbe, appunto, meno idealistico.
Ed è così che il DMA agisce sul presente, stabilendo dei principi su come i servizi digitali sono costruiti, sul loro design. Questo non per una velleità di interferenza sulle BigTech, ma perché riconosce che il modo in cui gli artefatti sono costruiti influenza le scelte che prendiamo.
Un esempio? Se, come accadeva prima, Safari era il browser di default su iPhone, la non-scelta da fare ci avrebbe portato ad usarlo automaticamente, chiudendo opportunità per altri browser. Ora, invece, una scelta va fatta. E, tra l’altro, qualche segnale degli effetti comincerebbe a vedersi.
Ed è così che possiamo proiettarci nel futuro.
Sul taccuino che uso per Artifacts ho segnato questa frase stupenda - letta non ricordo dove- un mesetto fa: “Competition is not just about protecting markets and technologies of today but the innovations of tomorrow”.
Che, insomma, vero che magari ora questa delle mappe o altre ci sembrano una seccatura, ma sono regole che mirano soprattutto a creare un domani diverso, a cui il DMA aspira.
Un domani più simile ad un prima che non abbiamo conosciuto o non ricordiamo, agendo su come Internet è costruito oggi.
Lo so, può sembrare astratto o anche inutile, ma è strettamente legato a delle dinamiche economiche e alla possibilità di avere nuove, diverse innovazioni in futuro.
Andrà per forza bene? Ovviamente no. È verosimile che l’innovazione continui a essere guidata grazie risorse delle aziende più grandi? Sì.
Ma non necessariamente. E, soprattutto, questo non significa non provare a creare un mercato digitale in cui per nuovi attori sia legittimo sperare di avere successo.
Rassegna (Stampa)
Usi ChatGPT per le cover letter? Forse bisogna cambiare. Sicuramente tantissimi studenti lo stanno usando per i paper. Il sottoscritto non rilascia dichiarazioni :)
Hai presente Pay or Okay, di cui abbiamo parlato sia qui che qui? Ecco, Max Schrems, principale attivista contro queste pratiche, ha fatto un video bellissimo a riguardo.
Forse cambiamo il GDPR, il regolamento sulla protezione dei dati personali. Intanto, se non vuoi allenare le IA con i tuoi dati, fai così.
Ma è vero che le IA dicono le bugie? Sulle elezioni sì, tantissimo, e in tutte le lingue.
E invece ti ricordi quella vicenda dei contenuti politici su Instagram? In America è attiva, e i content creator si stanno lamentando. Nel frattempo Meta prova a limitare l’invio di immagini pedopornografiche.
Puoi giocare al GameBoy sull’iPhone ora. Provalo che ne parliamo presto qui :)
Come se la cava il DSA con la disinformazione? Un’amica, Eleonora Bonel, ha co-scritto un paper su questo!
Sui dati per l’IA e se sia giusto aggregarne cosi tanti, ne ho fatto un video per NOS. Click qui sotto!
Lo Scaffale
Vero che c’è la bandierina USA, ma “System Error” è uno dei libri più belli e comprensivi su come le BigTech sono cresciute a livello globale. Spiega bene come, sì, abbiano agito scorrettamente, ma anche dove le regolamentazioni sono mancate. Tocca tanti temi, molto chiaro. Bello, bello.
📚 Tutti, ma proprio tutti, i libri consigliati in Artifacts sono raccolti qui
Nerding
Per modificare, migliorare, tagliare, fare tante cose con le immagini senza essere un professionista di Photoshop, Magnific AI è una delle soluzioni migliori che ho provato. Soprattutto, facile e intuitivo da utilizzare.
Pausa Caffè? ☕
Era un po’ che non mettevo questa cosina qua. Ma ho pensato che mi ha permesso di incontrare tante persone negli ultimi mesi, e quindi why not?
Quindi, ecco, se ti interessa Artifacts, i temi che affronta o sei solo curiosa/o…